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Il “rifugio” dei pellegrini.

Ai nostri giorni si torna a parlare di percorsi della francigena, di quei lunghi ed estenuanti pellegrinaggi penitenziali che nel Medio Evo conducevano i penitenti da tutta l’Europa verso Roma e verso Santiago di Compostela, i due luoghi, oltre Gerusalemme, dove si potevano lucrare speciali indulgenze e soprattutto espiare le colpe più gravi, quelle che originavano la scomunica. È stata questa l’occasione che ha incrementato l’urgenza di fornire tutti i monasteri e i conventi disseminati in quei percorsi, di spazzi di accoglienza. Così sono cresciute le foresterie monastiche, i migliori ripari di allora. Già nelle prime mappe rudimentali in uso ai pellegrini venivano indicate le tappe e i luoghi, quasi obbligati, dove poter sostare e trovare accoglienza per la notte. È stata questa la circostanza che ha trasformato i monasteri in “alberghi” speciali e quasi sempre gratuiti per i pellegrini: poter avere per la notte un luogo protetto, riscaldato, con un rude pagliericcio era a il massimo che si potesse avere a quei tempi. Talvolta la sosta si protraeva per più giorni. Dopo aver speso tante energie per giorni e giorni di cammino, in scomodi sentieri non sempre facilmente individuabili, al freddo o al caldo, tra le intemperie e i rischi di ogni giorno, far riposare corpo e anima diventava una urgentissima necessità: l’ambiente del monastero si prestava più che mai per questo recupero. Ai nostri giorni i percorsi della vita, i nostri pellegrinaggi, non sono meno faticosi di quelli dei pellegrini della francigena. Riemerge l’urgenza di offrire a tutti una sosta e un rifugio: ecco il nostro monastero, eccoci noi monaci! Pronti ad accogliervi con sincera fraternità.