francigena

La campana degli smarriti.

La campana degli smarriti.

Trovare poi unrifugio all’apertoe dormire alla diaccio comportava disagi e seri rischi. Ecco per tutti gli smarriti una saggia ed opportuna “invenzione” monastica: la campana degli smarriti! Quando calava il sole nei monasteri posti lungo i percorsi della francigena, il monaco campanaro di turno saliva sul campanile e, batacchio alla mano, faceva echeggiare i rintocchi tutto d’intorno. Il suono doveva durare a lungo, era il segnale di orientamento per gli smarriti. Quei rintocchi lenti e cadenzati consentivano di muoversi con sicurezza in direzione del monastero guidati da quel suono, e lì trovavano accoglienza, alloggio e vitto.

Il “rifugio” dei pellegrini.

Ai nostri giorni si torna a parlare di percorsi della francigena, di quei lunghi ed estenuanti pellegrinaggi penitenziali che nel Medio Evo conducevano i penitenti da tutta l’Europa verso Roma e verso Santiago di Compostela, i due luoghi, oltre Gerusalemme, dove si potevano lucrare speciali indulgenze e soprattutto espiare le colpe più gravi, quelle che originavano la scomunica. È stata questa l’occasione che ha incrementato l’urgenza di fornire tutti i monasteri e i conventi disseminati in quei percorsi, di spazzi di accoglienza. Così sono cresciute le foresterie monastiche, i migliori ripari di allora. Già nelle prime mappe rudimentali in uso ai pellegrini venivano indicate le tappe e i luoghi, quasi obbligati, dove poter sostare e trovare accoglienza per la notte. È stata questa la circostanza che ha trasformato i monasteri in “alberghi” speciali e quasi sempre gratuiti per i pellegrini: poter avere per la notte un luogo protetto, riscaldato, con un rude pagliericcio era a il massimo che si potesse avere a quei tempi. Talvolta la sosta si protraeva per più giorni. Dopo aver speso tante energie per giorni e giorni di cammino, in scomodi sentieri non sempre facilmente individuabili, al freddo o al caldo, tra le intemperie e i rischi di ogni giorno, far riposare corpo e anima diventava una urgentissima necessità: l’ambiente del monastero si prestava più che mai per questo recupero. Ai nostri giorni i percorsi della vita, i nostri pellegrinaggi, non sono meno faticosi di quelli dei pellegrini della francigena. Riemerge l’urgenza di offrire a tutti una sosta e un rifugio: ecco il nostro monastero, eccoci noi monaci! Pronti ad accogliervi con sincera fraternità.

L’accoglienza, una invenzione monastica?

No, in forme diverse o un po’ dovunque nel mondo l’accoglienza, l’ospitalità sono state sempre praticate. San Benedetto e i monaci dopo di lui fino ai nostri giorni, hanno il merito di averla praticata con uno stile cristiano monastico. Il grande patriarca cosi scrive nella sua Regola nel capitolo che dedicaproprio all’accoglienza: “Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo e a tutti si renda il debito onore. Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore; per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace. adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare. Si legga all'ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità”. È un bel cerimoniale, un rito ispirato dalla fede, che infonde subito un valore speciale, evangelico all’accoglienza monastica. Ai nostri giorni non pratichiamo più quel rito con i nostri ospiti, ci sentiamo però obbligati a conservarne il più possibile lo spirito, quello spirito che fa delle nostre foresterie monastiche degli “alberghi” molto speciali, non classificati con le stelle, ma apprezzati per i “modi” semplici, cordiali, fraterni, ispirati da un antico e sempre nuovo pensiero guida: in ogni volto, anche nel tuo, io scorgo un tratto del Volto di Cristo!